Ian McKellen ed il regista Bill Condon portano sullo schermo uno Sherlock Holmes anziano e pieno di dubbi. E l'esperimento funziona.
Dimenticatevi gli Sherlock Holmes moderni di Cumberbatch e di Elementary, così come pure le “blasfeme” varianti di Guy Ritchie (che comunque – ahimè - per il 90% del pubblico e per molta critica rimangono gli unici punti di riferimento su grande e piccolo schermo per quanto riguarda le avventure del personaggio di Arthur Conan Doyle): lo Sherlock Holmes nel bel film di Bill Condon è un anziano e scostante detective ritiratosi nel Sussex ad allevare api, ma a cui ancora arrivano richieste di aiuto o lettere di ammiratori. Croce della propria “badante” (Laura Linney) e delizia per lo sveglio figlioletto di quest’ ultima, affamato di avventure, l’ acciaccato Holmes di Ian McKellen, ritiratosi definitivamente battuto non dalla propria nemesi, il professor Moriarty, ma da sé stesso, è vittima della propria memoria ormai fallace – o forse pietosa – che ha rimosso il caso risultato essere la definitiva e più amara sconfitta nella sua carriera di consulting detective, sostituendolo con una più rassicurante - per sé stesso e per il perpetuarsi del “mito” Holmes - bugia.
E’ singolare che, a pochi giorni di distanza l’uno dall’ altro, sui nostri schermi arrivino due pellicole – Mr. Holmes appunto e Spectre, l’ ultimo, molto meno riuscito, James Bond – in cui due delle icone inglesi più rappresentative vengano “tradite” e quasi strappate al contesto naturale in cui sono ambientate le rispettive avventure al solo scopo di conferir loro una tridimensionalità alla quale spesso, nei romanzi e nelle pellicole di cui sono protagonisti, è stata preferita una rassicurante riproposizione stereotipata, continua ripetizione di comportamenti e di clichè già metabolizzati dallo spettatore/lettore. Anche per quanto riguarda il detective inglese, tracce di riscrittura e di umanizzazione del personaggio erano già state ampiamente sperimentate con successo sia in letteratura (oltre al romanzo di Mitch Cullin dallo splendido titolo originale – Un Impercettibile Trucco Della Mente - da cui è stato tratto il film, uno dei più recenti riusciti apocrifi che ha conferito dignità e “corpo” anche a storici comprimari quali la governante di Holmes o l’amico/rivale Lestrade è La Casa Della Seta di Anthony Horowitz), sia al cinema: in Assassinio Su Commissione di Bob Clark (1979) lo Sherlock di Christopher Plummer arrivava a versare lacrime di pietà per la sorte di una delle prostitute massacrate da Jack lo Squartatore, mentre in Soluzione Sette per Cento di Nicholas Meyer (1976) il nostro, non senza reticenze, si consegnava a Sigmund Freud per conoscere e rimuovere le cause della propria tossicodipendenza.
In Mr. Holmes, invece, la regia di Bill Condon sposta con sguardo affettuoso l’ attenzione dello spettatore sul decadimento di Holmes, lasciando a qualche flashback il compito di rappresentare gli anni dei fasti della carriera (delizioso il gioco cinefilo in cui un Holmes incuriosito si reca al cinema a vedere una pellicola molto liberamente tratta da uno dei racconti di cui è protagonista ed interpretata da quel Nicholas Roeg che già fu un giovane Sherlock Holmes in Piramide Di Paura (Young Sherlock Holmes – 1985). Pur relegando punti fondamentali del personaggio e dell’ universo Holmes, quali la presenza di Watson o la dipendenza dalla cocaina, nel ricordo di un’ ombra indefinita o ad un accenno quasi buttato per caso, tutta la pellicola è tratteggiata dal rispetto (che comunque non vuol dire fedeltà, “tradimenti” ve ne sono e anche molti) all’ opera di Conan Doyle, mentre Ian McKellen, già diretto da Condon nell’ altrettanto bello Demoni e Dei (Gods and Monsters - 1998), da parte sua si mette al servizio di un Holmes boccheggiante nella propria vecchiaia, incredulo e testardo nel voler(si) negare l’ inevitabile decadenza fisica e soprattutto mentale.
La narrazione coraggiosamente riesce a giocare su diversi piani temporali, unendo i tre principali (il “caso irrisolto” – o meglio rimosso - del titolo italiano, un viaggio nel Giappone post-Hiroshima alla ricerca di una fantomatica spezia in grado di lenire il proprio decadimento cognitivo ed il ritiro in vecchiaia nel Sussex) a divagazioni sul rapporto inaspettatamente affettuoso che Holmes ha con il piccolo figlio della propria domestica. E’ forse questa la parte più edulcorata e prevedibile di una pellicola che fa della malinconia e della memoria - e degli impercettibili trucchi che questa gioca alla mente per sopravvivenza, per paura o per pietà - il proprio motore narrativo.